L'importanza e il prestigio della SI.FIT. nel ventennale dalla fondazione
Aldo Pagni, Socio Onorario della Società Italiana di Fitoterapia
da “Piante Medicinali” 11, 2012
Ho conosciuto in Parlamento, nel 1997, la Professoressa Daniela Giachetti, infaticabile e appassionata presidente della S.I.Fit., accompagnata dal prof. Pepeu, farmacologo dell’Università di Firenze.
Da quell’incontro, nel quale casualmente ci trovammo a combattere la stessa battaglia, è nata una sincera e duratura amicizia e una profonda e reciproca stima.
Allora ricoprivo la carica di Presidente Nazionale della FNOMCEO ed eravamo stati convocati, presso la Commissione Sanità della Camera dei Deputati, per un’audizione sulle medicine alternative per le quali i Verdi avevano avanzato la proposta di legge di costituire un “ordine dei naturopati”.
Non avevo alcuna pregiudiziale nei confronti delle medicine cosiddette alternative o complementari, come sono state definite recentemente, anche se provenivo da una scuola, come quella della Clinica medica di Pisa, fondata sulla medicina scientifica o sperimentale che costituisce l’applicazione pratica di numerose scienze biologiche di base, come l’anatomia, la farmacologia, la biochimica, la fisiologia, la patologia generale e la microbiologia.
E quindi, non mi proponevo neppure di entrare nel merito della discussione sulla maggiore o minore utilità, delle pratiche alternative.
La mia intenzione era soltanto quella di sostenere che un ordine dei naturopati era una proposta aberrante perché lenire il dolore e curare le malattie doveva essere sempre un atto medico nell’interesse del paziente, e che, comunque, la fitoterapia, la somministrazione di prodotti derivati dal mondo vegetale, era una prassi terapeutica, da tenere distinta da quel multiforme insieme di pratiche che si differenziavano dalla medicina scientifica.
Il nostro Codice Deontologico, infatti, recita: “Il ricorso a pratiche non convenzionali (…) si esprime nell’esclusivo ambito della diretta e non delegabile responsabilità professionale del medico (…) che comunque non deve sottrarre il cittadino a trattamenti specifici e scientificamente consolidati e richiede sempre circostanziata informazione e acquisizione del consenso.”
La richiesta di tenere separata la terapia con farmaci derivati dalle piante dalle altre pratiche traeva origine da un esperienza compiuta, dopo la specializzazione in medicina interna e l’incarico di assistente nella Clinica, quando, negli anni ‘60 del secolo scorso, avevo iniziato la professione di medico di famiglia.
All’epoca ero un cultore della scienza e della ricerca, anche se dalla storia e dall’esperienza avevo imparato che una teoria per poter essere vera doveva poter essere anche falsa per consentire il progresso.
Non avevo alcuna conoscenza della botanica, e a stento distinguevo una camelia da una rosa, ma avevo pochi clienti e molto tempo libero e l’amicizia di un anziano diplomato in erboristeria (i semplici) all’Università di Siena ai primi anni del 900.
Collaborava alla Domenica del Corriere, dove teneva una rubrica dedicata all’erboristeria, e se inizialmente raccoglieva le erbe medicinali localmente per la preparazione di vari medicamenti, in seguito ricevette da ditte specializzate anche piante provenienti da terre lontane.
In quel periodo, nel suo laboratorio, imparai molte cose sulle piante medicinali, sui loro effetti curativi, sulle tecniche della loro preparazione e sulla differente efficacia delle piante, a seconda della stagione e dei terreni nei quali erano state raccolte.
La mia fu un’esperienza divertente, non coltivata a lungo e approfondita perché, travolto ben presto da qualche migliaia di assistiti, non ebbi più il tempo di acquisire la necessaria competenza professionale in questo campo.
Tuttavia, le piante medicinali mi sono state sempre vicine: anche in Cina e, nel 2000, una delegazione italiana della quale facevo parte, fu ricevuta dalla figlia di Deng Tsiao Ping, Ministro della ricerca scientifica, che propose agli industriali presenti un accordo con l’Italia per uno ricerca scientifica sulle numerose piante geologicamente originali presenti in oriente e utilizzate dalla medicina popolare.
Per questo, insieme agli auguri per i vent’anni della S.I.Fit., sono grato alla presidente Daniela Giachetti, per avermi dato la possibilità di ascoltare in questi congressi, le prestigiose relazioni scientifiche dei soci, e di mantenere partecipe la mia viva curiosità intellettuale per la terapia con i farmaci derivati dalle piante.
Fino a tutto il XVIII secolo gran parte dei medicinali usati proveniva dal mondo vegetale e quindi, l’erboristeria costituiva il fondamento di buona parte della terapia medica ufficiale.
Allora era una pratica che traeva fondamento dall’osservazione empirica degli effetti curativi che seguono all’assunzione di particolari piante.
A partire dalla prima metà dell’800, con l’evoluzione della chimica sorse la moderna farmacologia sperimentale che, insieme alla farmacognosia hanno reso possibile l’isolamento e lo studio dei principi attivi contenuti nei prodotti naturali e l’esistenza dei fitocomplessi.
Per tutto il ‘900 l’industria farmaceutica ha utilizzato le piante per la produzione dei medicamenti. All’inizio della professione, ricordo Totolea, un farmaco per l’ipertensione, prodotto da un’industria olearia ligure usando le foglie di olivo, secondo le tradizioni della medicina popolare, senza dimenticare il primo farmaco in commercio per l’ipertrofia prostatica estratto da Pygeum africanum, usato dagli stregoni africani, e più recentemente un antimalarico estratto da una pianta cinese.
In una parola, anche se oggi i prodotti della sintesi chimica sono sostituiti dai farmaci biologici, sappiamo che le piante medicinali contengono numerose sostanze dotate di potenziali azioni curative.
La S.I.Fit., in venti anni di congressi e di pubblicazioni, ha richiamato l’attenzione del mondo scientifico sull’importanza dei farmaci derivati dalle piante.
Le più recenti e numerose ricerche hanno confermato, diversamente dalle altre pratiche, l’originale prossimità di questa disciplina con i paradigmi della scienza sperimentale.