Curiosità e chicche della Società Italiana di Fitoterapia
Francesco Matteucci, Segretario della Società Italiana di Fitoterapia
da “Piante Medicinali” 11, 2012
Il Prof. Italo Taddei, ordinario di Farmacologia e Farmacognosia presso l’Università degli Studi di Siena, da sempre era un convinto e sicuro conoscitore del più antico sistema di cura per l’essere umano, le piante medicinali, che erano ritornate alla sua attenzione attraverso forme e metodi tramandati da secoli. Coinvolgendo anche la sua allieva, la Prof.ssa Daniela Giachetti, il Prof. Taddei dette vita al primo Congresso su studi e temi che ruotavano intorno alla fitoterapia; presso le stanze universitarie del “Laterino”, a Siena, insieme ad una cinquantina di suoi amici, cultori di tale scienza e qualche “curioso” neofita, che per la prima volta si avvicinava alla più bella forma della medicina naturale, stettero un giorno intero a riflettere sul fatto che la fitoterapia dovesse essere ri-inserita, con convinzione e chiarezza, nel circuito nazionale, anche perchè in molte altre nazioni europee era ed è ad oggi ufficialmente una forma di cura medica “convenzionale”.
Da poco conoscevo Daniela, anche se ormai avevo deciso, come tecnico C.N.R., di passare a lavorare con lei e nell’occasione, insieme all’amico Ariano Buracchi, tecnico universitario dell’Istituto di Zoologia, preparammo il pranzo ai “fitoterapeuti”: insalata di riso freddo, una speziata porchettina di suino cotta in modo splendido da un professionista pientino, un paio di forme di pecorino fresco, sempre di Pienza ed una cascata di baccelli come contorno. Essendo di Montalcino mi ero proposto di portare il vino dei miei luoghi, ma il Prof. Taddei, con la sua inconfondibile voce quasi rauca, mi apostrofò: “cosa fai? Produco un vino rosso buonissimo, ed anche un buon vinsanto”. Il messaggio era chiaro; al menù mancavano dolci da accompagnare al “famoso” vinsanto tanto decantato. Un paio di chili di cantucci completarono la tavola. Venuta l’ora di pranzare, tutto andò per il meglio con le pietanze, ma il “buonissimo” rosso del prof. assaporato quasi da tutti i convenuti, era veramente cattivo; storcevano il naso e la bocca passando a bicchieroni di acqua. Meno male che il vin santo passò liscio e fu bevuto.
Nacque così, nello stesso anno, la Società Italiana di Fitoterapia, con atto notarile siglato in Siena il 20 luglio 1992 che dettava forme, cariche, indirizzi e personaggi fondatori della S.I.Fit. con sede presso l’Istituto di Farmacologia di Siena. Gli stessi soci furono anche i membri della prima giunta esecutiva: professori, medici e farmacisti come Taddei Italo, Giachetti Daniela, Dimitri Sergio, Gubbini Ezio, Romano Michele, Bianchi Antonio, Bianchi Massimo, Andersen Mencagli Kirsten, Bagnoli Claudio, Rosali G. Paolo che prendevano inoltre formale impegno scritto di dare vita ad una rivista.
Per qualche anno la rivista che il Taddei già pubblicava a nome “Acta Phythoterapeutica” fu anche l’organo ufficiale della Società.
Il successo del primo congresso, l’entusiasmo, la volontà, la giusta convinzione che quella strada era da seguire e migliorare, ci portò, ed uso il “CI” perchè ormai intrufolato grazie al pranzo galeotto ed alla stima reciproca nata sia con il Taddei che con la Giachetti, aiutati anche e soprattutto dalle molteplici conoscenze dello stesso Italo, a ripetere l’esperienza l’anno successivo in quel di Roma. Andammo presso il Nobile Collegio Romano, dentro ad una fresca chiesa sconsacrata che dava su Via dei Fori Imperiali e si affacciava, sul retro, sui ruderi che in quei luoghi, accanto al più famoso Colosseo, la fanno da padrone. Mi toccò come scrivania per la segreteria, ricevimento e accoglienza dei partecipanti, uno striminzito e scuro inginocchiatoio dove per fortuna non operavo in posizione genuflessa, ma stando seduto su di una seggiola sghangherata e con i piedi malamente poggiati sul legno che avrebbe dovuto ospitare le ginocchia. Postazione scomodissima, che lasciavo spesso per ascoltare le prime, per me, curiose lezioni o per sbirciare, dalla finestra posta in fondo all’immensa chiesa, i ruderi che là davanti si affacciavano, lasciando ogni tanto che l’immaginazione mi portasse a vedere in quei luoghi soldati romani e cittadini dell’Urbe intenti alla vita frenetica di quei tempi; centinaia di gatti multicolori erano diventati invece i veri padroni di quello spaccato di storia.
I Nobili Soci del Collegio intanto si distinguevano dagli altri mortali cultori, per un grosso collare d’oro portato al collo con su appiccicata una massiccia e luccicante medaglia, sempre del prezioso metallo.
Cominciarono ad iscriversi i primi soci, fino ad essere ogni anno sempre più numerosi, cosi che l’impegno a seguire tutte le pratiche societarie divenne quasi un lavoro. Le prime quote associative si pagavano direttamente al momento del “Congresso annuale”, poi, oltre a tale forma, furono aperti conto corrente postale prima e bancario dopo. Le quote, comunque, giungevano quasi sempre tramite vaglia postali, all’inizio dell’anno inviati a tutti per il rinnovo. Prima dell’euro si pagavano cinquanta mila lire, con l’euro si passò a trentacinque, poi quaranta fino agli attuali cinquanta euro.
Nel 1994, su indicazione di un nuovo socio farmacista dr. Cacco, andammo ad Albarella, località alle foci del fiume Po, in un complesso alberghiero moderno e attrezzato, rimanendo, credo per la prima volta, dal venerdì pomeriggio fino alla domenica mattina, metodo congressuale che poi è rimasto sempre invariato negli anni. Ad Albarella fece la sua prima comparsa il dr. Lamberto Monti che, anche se colpito dai primi malanni, deambulava con le proprie gambe, e nei suoi interventi congressuali apparve subito persona preparatissima e qualificata, con idee chiare in testa difficilmente attaccabili e foriere di mille risvolti e indirizzi che con il passare degli anni la Società e la stragrande maggioranza dei soci avrebbero sposato in pieno.
Un ricordo mi rimarrà sempre impresso: io ed il simpaticissimo marito di Daniela, Salvatore, che in un buffet all’aperto, ci fiondammo su due piattate di pesce cucinato in modo egregio. E se un raffinato intenditore come Salvatore apprezzava quel ben di Dio, voleva dire che meritava di essere abbondantemente gustato.
Successivamente fu la volta di Castiglionecello, dove fummo ospiti nell’omonimo castello e dove godemmo dei menu della locale scuola alberghiera.
Ogni anno il Congresso spostava le sua tende, ora al sud, ospiti del dr. Monteleone, in quel di Copanello, con una cena di benvenuto a dir poco rocambolesca. Era stata organizzata in un ristorante distante qualche decina di chilometri dalla sede, davanti al mare di Riace, ove erano stati rinvenuti proprio i famosi Bronzi. La località da raggiungere, anche se di notte, aveva creato un certo fascino, ma dovemmo abbandonare sogni di facce bronzee causa una pazzesca corsa, andata e ritorno appiccicati ai sedili, in due pulman fatiscenti che traversando paesi e frazioni nemmeno si fermavano ai semafori rossi. Oltremodo arrabbiato mi alzai chiedendo spiegazioni all’autista di tale proiettile impazzito, ma mi fu risposto: “Ueh dotto’… state tranquillo che qua è tutto sotto controllo… E meno male, portammo la pelle sana e salva a casa.
A Iesi, tra ceramiche e verdicchio delizioso e nella meravigliosa Orvieto dove, da un campanile posto a due metri dall’albergo, di notte, ogni quindici minuti una campana sbatteva i suoi rintocchi con un suono così potente che a malapena riuscii a chiudere occhio.
Vicino a Viterbo, arroccati sotto ad una possente cattedrale gotico-romanica dalle meravigliose e colorate vetrate, uniche nel suo genere in Italia e fra le più maestose in Europa.
Finalmente a Pescara nell’assolato aeroporto in vetro, dove una gentilissima famiglia che gestiva il “complesso” ci trattò così bene, quasi fossimo tutti una famiglia, ed a stento abbiamo ritrovato l’eguale.
E poi Siena, nel decennale della nascita della Società, nella splendida cornice della Certosa di Pontignano, tra giardini e colonnati, tra olivi e vigneti, ove i soci continuavano ad aumentare dando le loro adesioni ad una Associazione che dettava regole e linee di ricerca sempre più avvincenti e convincenti.
La termale Salsomaggiore, piena di vita e di negozi, di soci curiosi e nuovi, di piccioni che al mattino si posizionavano sui cornicioni del lussuoso albergo e tubavano fin dalle prime luci dell’alba, tanto che, svegliato da questa insolita, monotona orchestra di suoni gutturali, presa una scarpa che stazionava vicino al mio letto, la lanciai con forza sui regoli della possente persiana di camera riuscendo, con il rumore ricavato da quel colpo ben assestato, a mettere finalmente in fuga i disorientati e noiosi volatili.
A Fiuggi trovammo pioggia e un nutrito gruppo di poliziotti in divisa antisommossa che grazie al G8 romano qui, a turno, stazionavano dandoci una non richiesta protezione.
A Chianciano ci aprirono, quali primi graditi ospiti stagionali, le porte di un lussuoso ed in stile albergo centrale, dove tranquillità e piante medicinali ritempravano anima e corpo solo a sentirne parlare.
Nel 2006, e me lo ricordo bene perché finalmente riuscii a farmi saldare il mio cuore “matto” al Fatebenefratelli di Roma, andammo a Gabicce, dirimpetto ad un mare tetro e gelido di un vento di tramontana sparato dalla vicina ex Jugoslavia che per tutta la notte soffiò sugli infissi della camera emettendo ululati e fischianti sibili poco consoni per i primi di giugno. E Lamberto, accarezzato ed accudito dalla splendida moglie e da tutti noi continuava a seguirci e guidarci nella vita della Società.
Una salto a Tirrenia, a due passi da Pisa, in un lussuoso albergo davanti al mare indicatoci dal prof. Bertelli ed anche se feceva freddo, furono battuti tutti i record di presenze: più di centottanta iscritti.
Da costa a costa, nel 2008 fu la volta di Pesaro, dove i giovani, oltre che a seguire le relazioni, aspettavano la sera per andare in uno dei moltissimi e affollatissimi locali della riviera, non senza mugugni di Luisa che malvolentieri permetteva alla figlia di seguire i più grandi.
La Rivista Piante Medicinali, con uscita di tre, quattro numeri annuali, ormai aveva consolidato la sua esistenza, non senza problemi finanziari per la sua buona riuscita, così che da anni permetteva ai soci di seguire la vita congressuale e soprattutto preziose ed innovative ricerche del settore.
Tivoli fu una delle tappe intermedie, cioè vicino all’ombelico d’Italia, “Roma” e guarda caso, nonostante la puzza di zolfo che aleggiava nell’aria grazie alle sue putride acque curative, ci ritrovammo ancora una volta circondati da poliziotti in stato di antisommossa che venivano ed andavano verso la capitale per seguire le vicende di un altro G….. non so cosa, ed anche allora eravamo protetti bene tanto che mi tornò in mente Fiuggi e capii che stare intorno a Roma, e soprattutto in località “termali” ci costringeva ad assaporare puzzi di circostanza, colori e amare divise viste e riviste troppo spesso anche in TV.
Il Giro d’Italia ciclistico, passato anche per Montalcino, anzi qui proprio arrivato come tappa, ci seguì anche in una Boario Terme agli inizi della stagione termale, ed una maglia rosa, presa al volo da un’auto della Gazzetta dello Sport da alcuni soci, di quei luoghi ameni conoscitori, fu regalata al prof. Della Loggia, che con l’intelligenza che lo contraddistingue, la indossò sotto la giacca buona da lezione accademica e, mentre spiegava ed enunciava benefici e controindicazioni del kava kava, si “kavò” pian piano, adducendo motivi di caldo improvviso, da attore consumato, prima la giacca accademica, poi la camicia, rimanendo in maglia rosa in modo impassibile e continuando a fare lezione come nulla fosse, fra il bravo e gli applausi di una platea scientifica altamente impressionata dalla mossa semplice, intelligente, dissacrante che lui aveva saputo con semplicità trasmettere agli istanti.
A Perugia, con il dr. Rossi, tra cioccolata e jazz, con l’impagabile Marco ed il gruppo giovani della Fitoterapia, tra “borse e memorie”, tra ottimi piatti e buoni amari sorseggiati alla sera su in giardino, trovammo la forza di applaudire tutto e tutti, ricordi e presente, idee nuove e promesse di vederci ed incontrarci più spesso. Le lezioni, i Master in fitoterapia che portano a raccogliere studiosi ora in Siena, ora in altre città d’Italia; dove medici, farmacisti, biologi, chimici stanno ad ascoltare, ad imparare, ad applaudire i mille insegnamenti trasmessi.
La “semplice” materia delle piante medicinali accomuna tutti, unisce dalla “prima Siena” brillanti soci fondatori e preparati giovani, li affiata, li plasma in una indiscussa ventata di ottimismo per una materia che non ha uguali nella storia dell’uomo. Non ci sono personaggi di ieri e di oggi, non ci sono piagnistei e rimpianti. La Società Italiana di Fitoterapia, magistralmente e pazientemente retta da Daniela, Marco e Luisa li accomuna tutti, sempre presenti e vivi, ieri come oggi, nei nostri cuori. Siena, venti anni dopo, ce li mostra uniti in un abbraccio sincero.